Intervista a cura di Marco Cavalieri
Compositore, ricercatore, musicista, strumentista. Inquadrare Riccardo Tesi e’ molto piu’ difficile di quanto si possa pensare. D’altra parte, basta dare una veloce occhiata alle sue collaborazioni (dal duo con Patrick Vaillant al gruppo sardo-toscano dei Ritmia, dal trio di organetti Trans Europe Diatonique alle canzoni della cultura occitana, solo per citarne alcune…) per intuire che al fondatore di “Banditaliana” starebbe stretta qualsiasi etichetta. E questo e’ sempre un bene. Alla fine dello scorso anno, per il Manifesto e’ uscito “Lune”, al prezzo di 8 euro. Un lavoro semplice e profondo al tempo stesso, un ballo attraverso la nostra musica popolare piu’ dolce, tutto questo a circa un terzo del prezzo medio delle cafonate da classifica. E, finche’ gira cosi, a noi va piu’ che bene. Abbiamo trovato Riccardo a casa, in Toscana e gli abbiamo chiesto di parlarci della sua musica, del suo gruppo, delle sue collaborazioni (in particolare quella con Fabrizio De Andre’) e lui ci ha parlato di tutto questo e di altro ancora, con la sua voce calda e pacata e con la gentilezza che da sempre lo caratterizza.
M.C.: Hai definito la tua musica “di frontiera”.
R.T.: Si, in realta’ e’ un modo per sfuggire ad ogni etichetta. Diciamo che la categoria che ci contiene meglio e’ quella di “world music”, anche se in senso lato, perche’ nellla nostra musica c’e’ jazz, canzone d’autore, tradizione… tutto mescolato. In fondo, non e’ altro che la somma delle nostre esperienze che, quando componiamo, vengono fuori. Ci piace vivere in una situazione di frontiera, dove poter essere molto piu’ liberi e creativi.
M.C.: La definizione di “world” vi va stretta, anche perche’ abitualmente – in Italia – questo genere fa venire in mente soprattutto il mare, le sonorita’ mediterranee. Invece, nel vostro lavoro, c’e’ certamente il Mediterraneo, ma ci sono anche gli Appennini. La tua terra, non a caso, e’ la Toscana. Come fai convivere queste due realta’?
R.T.: E’ un processo che viene naturalmente. La maggior parte del gruppo e’ pistoiese, quindi viene dai piedi dell’Appennino. Pero’ io seguo da tempo la musica del centro-sud perche’, suonando l’organetto diatonico, mi sono sempre sentito legato alla cultura meridionale, a quella sarda in particolare. Queste sono le musiche che ho amato e che continuo ad amare. Ovviamente adoro anche la tradizione toscana, alla quale ho dedicato un intero lavoro, ma poi ho lavorato con Fossati, De Andre’...Facciamo la nostra musica, non ci interessa essere catalogati in un genere piuttosto che in un altro.
M.C.: In Toscana hai anche trovato il tuo gruppo…
R.T.: Si, un gruppo fondato ben 13 anni fa, Banditaliana. Venivo da un periodo in cui lavoravo con musicisti assai lontani da me. Questo era molto interessante, ovviamente. Pero’ sentivo davvero il bisogno di un ritorno a casa, di un progetto che mi legasse alla mia terra, anche se poi – paradossalmente – proprio con questo gruppo ho ripreso a girare il mondo.
M.C.: Hai iniziato nel 1978, con Caterina Bueno
R.T.: Per chi non la conosce, e’ la piu’ grande interprete di musica tradizionale toscana. Fa parte di quel mondo legato a Giovanna Marini, Ivan Della Mea, persone che hanno riscoperto la musica etnica d’Italia. Hanno fatto ricerca su campo, hanno ritrovato vecchi canti, li hanno riproposti. Quindi il mio primo contatto e’ stato proprio quello con la musica tradizionale toscana. Poi, dopo due tre anni, ho mosso i primi passi da solo e ho cominciato a girare l’Italia col mio strumento, l’organetto diatonico, che veniva riscoperto proprio in quel periodo. Dopo le prime cose, ancora orientate verso la mia terra, ho iniziato ad aprirmi verso altre esperienze, a cercare – se vuoi – la mia musica, che teneva conto della musica tradizionale, ma che conteneva anche altro. Mi sono tolto un sacco di soddisfazione in tutti questi anni. Ho sempre fatto quel che volevo, ho lavorato coi miei artisti preferiti e in questo senso mi ritengo davvero fortunato.
M.C.: Hai collaborato con Fabrizio De Andre’, del quale mi ritengo senza esagerare un orfano.Mi puoi raccontare qualcosa di questo incontro?
R.T.: La mia collaborazione consiste nella partecipazione al suo ultimo album, Anime Salve. Io a quindici anni suonavo le canzoni di De Andre’ con la chitarra; trovarmi in studio di fronte ad un personaggio di quel livelllo, che stava dall’altra parte del vetro, e’ stata un’esperienza irripetibile. Ero allo stesso tempo esaltato, come se stessi vivendo un sogno che si realizzava, eppure intimorito dalla presenza di una persona con quel carisma. Lui e’ stato davvero gentile, mi ha messo subito a mio agio. Poi ci siamo rivisti in altre occasioni ed e’ sempre stato molto affettuoso nei miei confronti. Mi manca molto, mi mancano le sue canzoni, la sua voce. E’ sempre stato un artista straordinario, ma gli ultimi tre album erano davvero tre capolavori.
M.C.: Era davvero cosi’ preciso sul lavoro come dicono?
R.T.: Beh, ti posso dire una cosa. Quando si e’ in studio si fanno spesso diverse prove di una stessa registrazione. Lui era estremamente attento nello scegliere sempre la versione migliore. Questo mi e’ stato confermato anche dal produttore esecutivo, che mi diceva che Fabrizio aveva davvero un sesto senso nel cogliere l’emozione in musica.
M.C.: Sei poi rimasto nel “giro”, con Fossati, Vincenzo Zitello…
R.T.: Devo dire che la mia collaborazione piu’ grande nel campo della canzone resta quella con Ivano Fossati. Questo per due ragioni. La prima, semplicemente, per il fatto che e’ durata nel tempo; abbiamo lavorato su due dischi e parte della tournee di Macrame. La seconda, la piu’ importante, e’ che Fossati e’ davvero una persona geniale, un artista che ti lascia molto spazio. Ivano non mi ha mai detto cosa dovevo suonare, ne’ tantomeno come. Ogni tanto trovi chi ti dice: siediti e suona questo. Con Fossati non e’ mai capitato. Anzi, era molto preparato sui miei dischi precedenti, sapeva come suonavo e mi ha lasciato ampia liberta’. Sicuramente questa e’ la collaborazione che piu’ mi ha influenzato e arricchito, tanto e’ vero che i nostri dischi sono realizzati, mixati e registrati da Stefano Melone, che e’ il suo tastierista e co-produttore insieme a Beppe Quirici. Sono tutte persone che continuo a vedere e sentire con piacere, c’era davevro un bel clima in quella band.
M.C.: E’ bello anche creare un giro di amici nel quale muoversi e crescere. Nel brano “Ninna nanna”, ad esempio, c’e’ la splendida voce di Ginevra di Marco, che ha appena pubblicato il suo nuovo lavoro…
R.T.: Gran bel disco, davvero. Questo per tornare al discorso di musica di frontiera, sempre molto aperta. Ginevra e Francesco Magnelli sono due musicisti che vengono dal rock, tutti li conoscono per la loro militanza nei Csi e nei Pgr. Pero’, appena ci siamo trovati e le ho chiesto di cantare questa Ninna nanna semi-tradizionale pistoiese, lei lo ha fatto con una classe eccelsa, come se avesse sempre cantato queste cose. Spesso con lei ci troviamo a suonare dal vivo assieme. C’e’ davvero un bellissimo rapporto, di stima e di simpatia.
M.C.: Personalmente prediligo questo genere di musica, che tu hai definito in maniera molto lagra “world”. Noto peraltro che c’e’ un ritorno di interesse, non solo tra chi la crea, ma anche tra chi la ascolta. E mi fa piacere vedere che – come nel caso di Eugenio Bennato – si tratta in gran parte di giovani. In una recente intervista hai dichiarato che questo recupero e’ stato originato da un movimento generale di artisti, legati non esclusivamente alla mujsica entica, ma che a questa si affacciano (rock, jazz…). Questo ha cambiato il modo di vedere la musica tradizionale, non piu’ un qualcosa di vecchio, di statico, ma sempre in movimento, un po’ quel che ci diceva Sergio Berardo dei Lou Dalfin…
R.T.: Come fonte di ispirazione, anche. Uno non canta una canzone tradizionale, pero’ usa una sonorita’, una scala, un ritmo per comporre una canzone nuova. Questo e’ il rapporto che prediligo, che poi e’ lo stesso che aveva a suo tempo Béla Bartok nella musica classica, ispirandosi alla musica etnica, che conosceva profondamente.
M.C.: Nella nostra chiacchierata hai accennato al tuo strumento preferito, l’organetto diatonico. Fa parte degli aerofoni, e’ una specie di fisarmonica, ma con una differenza…
R.T.: La grossa differenza e’ che ha un suono in chiudere ed uno in aprire, come l’armonica a bocca. Quindi il fraseggio dell’organetto e’ molto piu’ ritmico e infatti nella tradizione e’ uno strumento usato per il ballo, ha questa importante caratteristica ritmica, anche se adesso sto sfruttando piu’ l’aspetto melanconico dello strumento (ride).
M.C.: Ma chi predilige il ballo, puo’ sempre contare su un paio di remix di Ominostanco, che ha lavorato su due tuoi vecchi cavalli di battaglia…
R.T.: Si, l’idea del remix e’ venuta non tanto per fare una versione dance dei due pezzi, che erano gia’ ballabili in origine. Personalmente, trovo che il remix sia una nuova forma d’arte e che non consista solo nel mettere una base dance sotto un pezzo che gia’ esiste, ma e’ il pensiero musicale stesso dei dj, che smontano e rimontano i brani, reinventandoli. Questo per me e’ l’aspetto interessante e trovo che Ominostanco abbia ridato nuova vita a due brani che avevano gia’ detto quel che dovevano dire.
M.C.: Vuoi aggiungere qualcosa?
R.T.: Beh, se me lo chiedi approfitto per dire che, alla modica cifra di otto euro, i nostri ascoltatori troveranno anche una… bonus track letteraria, un racconto di Gabriele Contardi (premio Calvino per il romanzo “Navi di carta”, ndr) che si puo’ leggere mentre si ascolta il disco.
Marco Cavalieri, Febbraio 2005 su Radio Città Aperta
Articolo originale disponibile nel sito di Radio città aperta
Riccardo Tesi & Banditaliana "LUNE" - Cupa Cupa | Lune - All about Jazz