di Christian Verzelletti
Un disco che recupera la canzone popolare della Toscana minore e della montagna pistoiese può sembrare un’operazione pedante, buona per dei circoli culturali o per qualche centro di ricerca. Invece quello che l’assessorato alla cultura del comune di Pistoia ha ideato e sostenuto è molto di più di un documento bibliotecario, soprattutto perché affidato a Riccardo Tesi, musicista passato attraverso il jazz e la canzone d’autore di Gaber, De Andrè, Fossati. In compagnia di Maurizio Geri, ha compiuto una ricerca sui suoni e sulle storie di una vita di provincia che ha in seno un patrimonio musicale non ancora del tutto compreso.
“Acqua, foco e vento” è pura world music, che qua vive la sua specificità come musica (e non miscuglio) di un luogo e di un popolo. Per evitare qualunque sospetto commerciale, meglio sarebbe parlare di musica etnica, ma così facendo rimarrebbe in secondo piano la rielaborazione moderna compiuta da Tesi e dai suoi musicisti. Basti dunque immaginare sommariamente quale disco avrebbe potuto fare Fabrizio De Andrè, se fosse stato di origini toscane.
Tesi e Geri hanno riscritto, riarrangiato e reinterpretato canti di protesta, di lavoro, di questua, ninna nanne, ballate e ottave con grande competenza strumentale e culturale: da una parte il suono e dall’altra le tematiche. Fondamentale è l’organetto di Tesi, strumento per natura povero, che riesce ad acquistare nobiltà proprio dalla tradizione, accompagnato da mandola, violoncello, chitarre, percussioni, tamburello e, all’occorenza, anche un paio di sax. Determinante anche l’uso delle voci e dei cori, che ci introduce al vissuto di canzoni, specchio di un mondo contadino, dell’emigrazione, della condizione della donna, della transumanza e in generale di una vita popolare che si realizzava nell’essere comunità.
È questo il senso di quelle canzoni cumulative, giocate sulla stratificazione di voci e concetti, o di un pezzo come “Maggio di Vico”, costruito secondo la forma polivocale arcaica del “bei”. Va data merito a Tesi di essere riuscito a costruire un disco con un suo corpo, attuale, che si fa ascoltare nel suo essere musica, al di là del senso storico di cui è portatore. “La ballata del carbonaro”, per esempio, potrebbe appartenere al canzoniere di De Andrè per l’umiltà con cui canta la migrazione verso la Corsica, attraverso un arpeggio cantautorale, una cadenza dialettale e un finale bandistico che ne sublima la drammatica esperienza. Moderno è il gusto con cui viene riproposta “Tonio Romito”, filastrocca con un passo rap che valorizza il potere ritmico della lingua.
Liricamente e strumentalmente l’album riesce a cantare il vissuto dignitoso di un popolo dalla povertà alla goia danzante, come nel medley centrale, dedicato alla pastorizia. “Acqua, foco e vento” non solo riporta ad un tempo in cui l’esistenza umana dipendeva dagli elementi della natura, ma si riappropria degli stessi per far rivivere oggi una musica tanto ricca, quanto povera era la gente a cui apparteneva.
Pubblicato il 20/10/2003
Acqua Foco e Vento - All about Jazz | Acqua Foco e Vento - Folkworld (in English)