Di Gianni Ventola Danese
L’autore, Riccardo Tesi, lo ha intitolato “Fulmine”: è un vorticoso alternarsi di ritmiche impossibili, e nel tempo è diventato il banco di prova di ogni virtuoso dello strumento.
Questa è la storia di un brano musicale per organetto. Caro lettore, non fare quella faccia, c’è molta musica dentro questa storia, c’è Fabrizio De André, una Cinquecento e Riccardo Tesi. Già, cominciamo proprio da lui, Riccardo.
Era il 1983, facciamo un po’ i conti… sono passati 24 anni! Mentre tutto il pianeta si sorbiva Thriller e le trasformazioni licantropesche di Michael Jackson, Riccardo Tesi pubblicava il Ballo della lepre. Un album quasi interamente suonato da un organetto solista. Una scelta difficile, importante, una scommessa vinta che permise a molti di riscoprire e apprezzare questo strumento che giaceva in più delle volte dimenticato nei fienili di mezza Italia. Uno strumento ricco, denso di potenzialità che vanno ben oltre il territorio della musica folclorica, per sconfinare nel jazz, nellamusica da camera, nella canzone d’autore. E pensare che solo in Italia abbiamo inventato questo strano nome, un po’ ridicolo: organetto. Al di là delle Alpi, in Francia, l’accordéon diatonique è una istituzione nazionale e guai a chiamarlo altrimenti. In Inghilterra, allo stesso modo, si sente parlare solo di diatonic accordion. Solo in Italia esiste questa dicitura un po’ riduttiva: organetto, che i più continuano a storpiare nella locuzione scorretta “organetto diatonico”.
Così, grazie a Riccardo Tesi, la fisarmonica diatonica esce dal suo anonimato o dai contesti tipicamente folclorici per contaminarsi con altri generi musicali. Storico l’incontro tra Tesi e Fabrizio De André nella seconda canzone dell’album Anime Salve, Khorakhane’ (a forza di essere vento). Nel frattempo l’organetto subisce una trasformazione: da strumento popolare a strumento musicale. Non stupiamoci se in Finlandia esiste addirittura un corso al conservatorio. Ma i costruttori italiani, i Castagnari, tanto per citarne uno, sono il top. Dopo la chitarra, è proprio la fisarmonica diatonica oggi lo strumento più suonato in Italia. Ne sono passati di anni da quel Ballo della lepre.
E’ il 2007, maggio, ed esce ancora un disco di Riccardo Tesi, ancora una volta in completa solitudine: lui e l’organetto. Lo pubblica una coraggiosa casa discografica francese, Cinq Planetes, ed è distribuito in Italia da Felmay. Sono pochi gli organettisti che hanno osato cimentarsi con un disco in “solo”, e Riccardo lo ha fatto. Tra i tanti brani, bellissimi, ipnotici, ve ne sono alcuni di nuova composizione, alcuni arrangiamenti solistici di precedenti composizioni, e poi c’è Fulmine. Sì, perché Fulmine è un discorso a parte. Chiedere a un fisarmonicista se sa suonare Fulmine è un po’ come chiedere a un pianista come se la cava con le sonate di Prokofiev, a un cantante d’opera se ha mai cantato il Woyzek. Perché questa pagina di musica col tempo è diventata banco di prova, esame, passaggio, direi rito iniziatico che segna la maturità di ogni fisarmonicista diatonico. E lo è diventata per la sua bellezza asimmetrica, per il suo vorticoso alternarsi di ritmiche impossibili. L’organetto viene dai balli popolari, dalle cose “semplici”, ma per Fulmine le cose stanno diversamente. Il brano inizia con un tempo in 13 tempi, poi è come se “scalasse” e i tempi diventano 12, e per un po’ di battute il tempo pari regala un po’ di tranquillità, ma non troppa, anche perché subito dopo il tempo riguadagna il suo disordine assestandosi su un ritmo in 15 pulsazioni (8 più 7), poi torna a 12, poi a 10, e così via. Non c’è assestamento ritmico, è come qualcosa che arranca, che sale e riscende e poi risale.
“Non ci feci molto caso, abbandonai la partitura a se stessa, il brano non mi convinceva più di tanto fino a quando non scoprii che un gruppo inglese ne aveva fatto una versione un po’ semplificata rispetto all’originale, erano i Blowzabella di Andy Cutting, e ascoltando la loro versione mi incominciai a convincere che il pezzo in effetti funzionava e, soprattutto, piaceva”. Me lo dice così, Riccardo Tesi, con molta modestia, parlando di un brano che ha fatto scuola. E poi, la rivelazione, e tutto si spiega. “Il brano nacque durante una discussione sul blues e sulla tecnica armonicistica che riproduce il rumore e il ritmo galoppante di un treno in corsa”. Riccardo mi fa venire in mente che la ferrovia è uno degli archetipi del blues, chi non ricorda, ad esempio, Honky Tonky Train Blues? “Ma in quel momento non mi trovavo in treno, ma su una vecchia e sgangherata Cinquecento tra cigolii, doppiette e rumori sferraglianti di un motore annaspante e non potevamo certo dire di essere sostenuti dalla cadenza potente e travolgente di un treno che corre verso la frontiera… fu allora che mi venne l’idea di trovare un pezzo che avesse il ritmo di quella piccola auto sbilenca”.
Insomma, come una vecchia auto su una salita, i brano slitta tra un ritmo e l’altro alla ricerca di un arrivo. Ma tutto questo lo fa con semplicità e tirando fuori una linea melodica che riesce pure orecchiabile. Un marchio di carriera per un musicista che è sulla scena da trent’anni, e che proprio in questi giorni ha presentato il suo nuovo lavoro, intitolato Presente remoto. Una riunione di musicisti intorno alle musiche del maestro pistoiese. Da Stefano Bollani a Elena Ledda, da Gianmaria Testa passando per Daniele Sepe, e poi ancora Patrice Vaillant, Gabriele Mirabassi, Ginevra di Marco. Senza dimenticare Fabrizio de Andrè, al quale Tesi dedica una sua versione de La città vecchia. E così, trent’anni di carriera se ne sono andati… come un Fulmine.
Il blog di Gianni Ventola Danese: http://fisarmusica.blogspot.com/
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